INTRODUZIONE
La vita di Cornelio Tacito ci presenta non poche e non lievi oscurità. Ignoto è il prenome, che, secondo uno scrittore tardivo, del 5° secolo, sarebbe Caius; secondo il manoscritto Mediceo, Publius.
Ignoto pure è il luogo e I'anno di nascita. Da alcune notizie, forniteci dallo storico stesso (Hist. l, l) e da una lettera di Plinio il Giovane, si deduce con molta probabilità che egli dovette nascere verso il 56 a Terni; per coloro che accettano come vera la parentela di cui, due secoli dopo, si vantava I'imperatore M. Claudio Tacito, nativo appunto di Terni; a Roma, secondo altri, che si fondano su supposizioni non più sicure della precedente. Probabilmente era provinciale, se anche non proprio di Terni.
Poche altre notizie sono accertate. Studia eloquenza, e il suo nome diventa presto celebre nel foro. Nel 78 sposa la figlia di quel Giulio Agricola, che fu il conquistatore della Britannia, e la cui figura egli esaltò nell'operetta omonima.
Al tempo dell'impero di Vespasiano comincia il cursus honorum di Tacito (Hist., l, I); questore forse nel 79, fu edile o tribuno della plebe sotto Tito, pretore sotto Domiziano nell'88.
Nei quattro anni seguenti egli fu assente da Roma: si pensa con molta verosimiglianza che si sia recato, come legato legionario, in Germania, o propretore nella Gallia Belgica. Così, certo, possiamo spiegarci meglio la singolare conoscenza che egli dimostrerà delle popolazioni germaniche nella sua famosa operetta.
Tacito ritorna a Roma quando già, nel 93, era morto il suocero, non senza sospetto di veleno per opera di Domiziano, allora divenuto isidiosissimus princeps. Sono, questi ultimi di Domiziano, anni funestati da condanne, da persecuzioni, da morti contro gli onesti, gli amatori della virtù, contro chi ancora voleva avere un proprio pensiero, contro i libri stessi dei sapienti, quasi si volesse estinguere insieme "la voce del popolo romano, la libertà del senato e la coscienza del genere umano", (Agr. ll).
In questi anni di dolore e di vergogna Tacito si chiuse in disdegnoso silenzio, nella meditazione sulle vicende dell'impero da Tiberio a Domiziano, da lui veduto un po' angustamente come la tragedia della tirannide, e sulla triste natura umana.
Con I'avvento al trono di Nerva, Tacito ricompare nella vita pubblica; e, sotto Traiano, comincia la sua attività di storico. Nel 97 fu consul suffectus, cioè supplente, succedendo allo scomparso Virginio Rufo, famoso uomo di stato, e del quale pronunciò l'elogio funebre, tanto Iodato da Plinio il Giovane. Fu infine, come sappiamo dall'iscrizione scoperta a Mylasa, città della Varia, proconsole d'Asia.
Visse certamente non oltre I'anno 120.
La sua attività, fin oltre i quarant'anni, essenzialmente oratoria, ha dato come frutto, con ogni probabilità, il Dialogus de oratoribus, in cui, in uno stile ciceroniano, tratta delle cause della decadenza dell'arte del dire al tempo suo, ravvisandole nelle mutate condizioni politiche e sociali.
Ma la sua grandezza è tutta nella sua opera storica, intrapresa, come s'è detto, sotto Traiano: De Vita et moribus Julii Agricolae..., De origine, situ, moribus ac populis Germanorum..., e soprattutto le Historiae e gli Annales.
L'Agricola è nello stesso tempo I'elogio del suocero e la narrazione delle conquiste da lui compiute in Britannia, con preziose notizie sull'isola e i suoi abitanti: all'esaltazione delle virtù del suocero si contrappone, come monito ai futuri imperatori, la crudeltà infame di Domiziano.
La Germaniaè una monografia di carattere geografico ed etnografico, che interessava allora per i rapporti di quelle genti con Roma, e nella quale, forse, I'ammirazione per quei popoli sani e forti, in contrasto con la corruzione di Roma, voleva essere anche un ammonimento al pericolo che incombeva sull'impero.
Le Historiae comprendono il periodo che egli stesso visse, cioè da Galba fino a Domiziano (69-96). A queste collegò, per dare un ampio quadro di tutta la vita dell'impero, gli Annales, dal principio del regno di Tiberio fino alla morte di Nerone (14-68): l'una e l'altra opera, sfortunatamente, ci sono giunte mutile.
Come Livio della repubblicana, egli è così, pur sotto aspetti diversi, il grande storico dell'età imperiale, di quell'impero cioè, apportatore di pace, di cui, come tutti i grandi spiriti dell'età, comprendeva la necessità e che accettava volentieri, purché il princeps sapesse congiungere la signoria con la libertà, come aveva fatto Augusto e facevano Nerva e Traiano. Questa sua concezione spiega la deplorazione sua del periodo intermedio, veduto, come ho detto, essenzialmente come tirannide.
Tacito, riconnettendosi alla tradizione storica romana, ripresa tanto stupendamente da Livio, nel quale ammirava pure la concezione eloquente della storia, segue la forma annalistica, non preoccupandosi di cadere in "un ordinamento alquanto schematico dei fatti", perché la sua concezione storica non era diretta a collegare i fatti nelle loro grandi linee di sviluppo: egli non guardava alle grandi azioni politiche e militari (tanto più che I'età da lui descritta non gli offriva molta materia di questo genere); e invece si fissava sugli interni della storia, sui retroscena, sugli episodi, sulle vicende private, su tutto ciò che servisse a denotare il carattere dei personaggi e ad illuminare i moventi psicologici e morali delle azioni.
Questa di Tacito perciò è non storia di pensiero, ma di sentimenti, profondamente umana e altamente drammatica, e dove l'individuo, con le sue passioni colpevoli, i suoi odi, i suoi delitti, le sue brutture, ma talora, raramente, con la sua bontà e col suo eroismo, è I'elemento dominante; tuttavia ad una forza trascendente, inesplicabile, il Fato, soggiace una parte delle vicende umane, e la divinità, talora, fa balenare dinanzi alla colpevole umanità il suo volto inesorabile di giudice punitore.
Perciò la sua storia è unica nella storiografia romana, e solo Sallustio, sia come scrutatore d'anime sia per la maniera stilistica, gli può essere, in piccola parte, avvicinato.
Da questa drammaticità dipende la struttura, così personale, del suo periodo, che nulla ha di ciceroniano, ma anche poco, per esempio di senechiano.
Si parli pure di varietas, di asimmetria, di concisione di sentenziosità ecc., caratteri non certo estranei, anzi comuni, alla prosa dell'età imperiale: ciò che distingue il suo stile da quello dei contemporanei è precisamente, come è facile comprendere, l'anima, che in esso sentiamo robusta, partecipante con il suo complesso di idee salde e di sentimenti onesti al proprio racconto, che ci lascia sospesi, ammirati, indignati, cioè con un mondo tumultuoso d'affetti nell'anima, com'era lo spirito dello scrittore in quel momento,
Questo giudizio, mentre ne precisa i limiti, costituisce la lode più giusta che si possa fare alle Storie e agli Annali, grandi come opere d'arte e di eloquenza, secondo il concetto che gli antichi avevano della storia.
GLI ANNALI - Libro XVI
Il XVI degli Annali, sventuratamente pervenutoci mutilo, è I'ultimo dei quattro libri comprendenti il principato di Nerone.
Accenno brevemente a quella che possiamo chiamare storia infame di Nerone, narrata da Tacito nei tre libri precedenti.
Nato da Domizio Nerone e da Agrippina, figlia di Germanico, egli entra, giovanissimo, con sua madre Agrippina, nella casa di Claudio, dal quale, per gli intrighi di Agrippina, viene adottato, dando inizio a quella serie di brutture e di misfatti, che continueranno con I'uccisione dell'imperatore, e, dopo la sua assunzione all'impero, quando era appena diciassettenne, e la breve influenza moderatrice di Seneca e Burro, culmineranno, prevalendo in lui gli istinti perversi, con I'uccisione di Britannico, quella della madre e della prima moglie Ottavia per istigazione dell'amante Poppea, e di tanti altri ancora, specialmente dopo l'assunzione, come prefetto del pretorio, dell'infame Tigellino.
L'anno 64 è degno di memoria per un avvenimento, che diventò, per varie ragioni, famoso: l'incendio che distrusse dieci dei quattordici quartieri di Roma. Incolpato dalla voce pubblica del disastroso incendio, egli tentò di rivolgere I'odio del popolo contro i cristiani, accusandoli del misfatto e condannandoli a morire fra orribili tormenti. Seppe però approfittare dell'incendio, per ricostruire la città secondo un grandioso piano regolatore, e fabbricare per sé un palazzo di non ancor vista magnificenza, la domus aurea.
Nell'anno seguente venne scoperta una vasta congiura, che faceva capo a un nobile romano: Caio Calpurnio Pisone: vi perirono, tra gli altri, Seneca e Lucano.
A questi avvenimenti interni se ne accompagnano altri, esterni: la lunga campagna contro i Parti, fino all'incoronazione di Tiridate a Roma per mano di Nerone; la rivolta e la sanguinosa repressione della Britannia per opera del governatore Svetonio Paolino.
La mia anima di lettore però, più che su questi avvenimenti esterni, sia pure di notevole importanza, ama rivolgersi a quelli interni per l'interesse maggiore che suscita il dramma di tante anime, profondamente analizzato dalla commossa mente dello storico.
Il libro XVI è, nella parte rimastaci, dedicato esclusivamente agli ultimi avvenimenti interni dell'obbrobrioso principato neroniano. Il libro, pur non suscitando I'intenso interesse di altri, per esempio del precedente, è però esso pure di viva attrattiva per alcune figure, che in esso hanno non comune risalto.
La figura di Nerone, amalgama di violenza, di perversità, di sensualità, e di ambizione, di cupidigia di danaro e di comando, avendo egli lasciato senza freno gli istinti ricevuti in fatale eredità dal padre e dalla madre; nello stesso tempo trasportato dall'amore per ogni forma d'arte, dalla poesia e musica all'arte scenica e ai ludi circensi, e dalla passione per tutto ciò che fosse grandioso e spettacoloso, riceve in questa parte finale dell'opera i suoi ultimi, compiuti tocchi.
La persona di Nerone è come un nume terribile, che, presente o nascosto, domina ogni cosa, avendo ogni personaggio di questa, chiamiamola pure, tragedia la sua ragione d'essere in relazione alla potenza senza limiti di lui.
Però, trascurando alcuni fatti di secondaria importanza, come la sua indecorosa esibizione sulla scena, la morte tragica di Poppea, e la storia di alcuni processi, in cui Tacito ama mettere in luce, in mezzo a tante vergogne, i rari esempi di nobiltà umana e del dolore che non conosce confini, I'interesse mio, ora, non si volge tanto all'imperatore, quanto a due figure, dal carattere affatto diverso, anzi opposto, da cui lo storico sa trarre i più grandi effetti d'arte, creando due dramatis personae vivissime: Petronio e Peto Tràsea.
Petronio, il cortigiano di Nerone è, come oggi da tutti si ammette, l'autore del Satyricon, uomo raffinato e spregiudicato, I'arbiter elegantiae della corte, che sa morire recitando levia carmina et faciles versus. Il secondo, un senatore, era un padovano, imbevuto di stoicismo, uomo di nota integrità morale, che teneva a modello Catone, anche nell'avversione al principato, e che muore, come Seneca, parlando dell'immortalità dell'anima.
Due figure dunque, che possiamo prendere come esempi tipici delle due correnti, nel mondo delle persone colte, che in quel tempo, si notavano in Roma, in quanto che, accanto a coloro i quali, come Petronio, vivevano senza avere interessi spirituali da far valere, incuranti, per indifferenza o per cinismo, di ogni voce che venisse dalla coscienza, gaudenti più o meno raffinati, era sorta, e si accentuava, presso gli spiriti migliori, I'esigenza di trovare una soluzione ai molti problemi interessanti I'uomo, e soprattutto di trovare finalmente una soluzione al problema capitale dell'immortalità dell'anima.
Nel contrasto tra questi due mondi, tra quello fatto d'infamie e di crudeltà di Nerone o d'indifferenza morale di Petronio, e l'altro, permeato da un profondo senso morale, da una dolorosa insoddisfazione per le non soddisfacenti soluzioni dei problemi assillanti I'anima umana, consiste I'interesse e il valore del libro XVI.
Non dunque, come del resto è tutta I'opera tacitiana, opera schiettamente storica nel senso moderno, ma storia prammatica, dominata dall'interesse umano dei fatti, scelti e giudicati in base ad un criterio morale, e che servono alll'artista per tracciare un quadro di grandiosa tragicità.
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SATYRICON - Petronio Arbitro