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TINA ANSELMI - Parlamentare italiana DC (Italian parliamentary)

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TINA ANSELMI

Tina Anselmi (Castelfranco Veneto, 25 marzo 1927) è una politica e partigiana italiana. È la prima donna ad aver ricoperto la carica di ministro della Repubblica.

Figlia del Veneto cattolico, classe 1927. Ragazzina della Resistenza. Democristiana dal 1944, quando aveva solo 17 anni, e quando anche la Dc aveva appena preso forma. 
Nel Consiglio nazionale del partito dal 1959, quando di anni ne aveva 37, ministro del Lavoro nel terzo governo Andreotti nel 1976, quando ne aveva 54. Eletta sei volte deputato tra il 1968 e il 1987. 
Le date, le stagioni, la regolarità e l'uniformità che scandiscono i suoi primi trent'anni di politica bastano da sole a fare di Tina Anselmi la dramatis persona della nascente democristianità, partigiana ciellenestica e consociativa, solida e materna, identitaria e domestica, nazionale e casalinga. Governante, perché fu questa la vera e dirimente differenza tra la Dc e il Partito Popolare. E però ancora "profumata di tisana, di sonno, di borotalco e di marmellata di prugne", come una volta l'aveva descritta Piero Citati.

Storico contrappasso, o bizzarra coincidenza, doveva essere al femminile, incarnato in una lei, questa lei, il rovescio del potere che ha tenuto il timone in mano per cinquant'anni, come il negativo di una fotografia, se è vero che la Dc, che quel potere plasmò per noi, fu l'unico partito a denominazione femminile. 
Se dare una risposta al Che fare? democristiano all'indomani del trionfo del 18 aprile 1948 aveva imbarazzato lo stesso Alcide De Gasperi, la Anselmi, maggiorenne da un mese, non esitò: "rimbocchiamoci le maniche". 
Leggende. Fiorite però su quella duplicità, essa sì leggendaria, su quella complementarità di maschile e femminile, di princìpi e di abitudine, di visione e di pragmatismo, che furono I'arcanum imperii della politica Dc.




Perfetta così, icona innocente, Tina Anselmi sarebbe passata agli annali come la prima donna italiana chiamata a fare il ministro, secondo l'ansia di catalogazione che affligge il rivendicazionismo femminile e che fa scambiare primati come questo, espressione di fatti statistici, per conquiste sul campo. Invece è passata alla storia della prima Repubblica da improbabile guerriera, la Giovanna d'Arco che avrebbe dovuto trafiggere i mostri degli anni Ottanta. 
La presidenza della commissione d'inchiesta parlamentare sulla P2, assegnatale nel 1982, cambiò il suo destino, quanto il moralismo giacobino, la vergogna del potere, l'istinto punitivo e tuttavia accomodante tra le parti, che furono la contraddittoria filosofia inquirente, dopo di allora, di tutte le commissioni parlamentari, cambiarono il corso del guerreggiato consociativismo italiano. 
Si può discutere se la Dc avesse messo in campo una donna in quel tentativo di colpire la massoneria, quale simbolico, provocatorio, omaggio al familismo cattolico in lotta con il lobbismo laicista o se la Dc, avventurandosi sul terreno minato delle indagini tra le pieghe del potere, avesse scelto il profilo da matriarca di Tina Anselmi come segno del proprio temperato machiavellismo, e come offerta di scambio nei confronti dell'opposizione comunista: suggello femminile di pari opportunità nel gioco, e nei segreti, del potere. 
Fu un po' dell'una cosa e dell'altra, lungo la frontiera "cattocomunista" secondo il neologismo con cui si indicava allora quel coacervo stabile di interessi, di umori e di malumori, che a volte diventava darwinismo sociale a volte cannibalismo politico. 
Ma era rimasto imprevedibile, e straordinario, che la furbizia contadina della presidente divenisse il controverso modello della futura demonologia politica nazionale, distruttiva e futile. 
I 120 volumi degli atti della commissione che stroncò Licio Gelli e i suoi amici, gli interminabili fogli della Anselmi's list, infatti, cacciavano streghe e acchiappavano fantasmi.




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