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DIANA CACCIATRICE (Diana the Huntress) - Pierre-Auguste Renoir

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DIANA CACCIATRICE (1867) Pierre-Auguste Renoir
Washington, National Gallery of Art (Chestet Dale Collection) 
Olio su tela cm 195 x 130

Respinto al Salon del 1867. Renoir dirà più tardi che voleva fare solo uno studio di nudo ma che poi aveva aggiunto accessori mitici perché il dipinto non fosse considerato impudico, e con la speranza che, più agghindato secondo la moda accademica, fosse accettato al Salon.

La Diana cacciatrice non nasceva più come soggetto mitologico, tra il 1866 e il '67, ma era il primo nudo di Renoir. Vi riprende ancora, in parte, il lavoro a spatola e sembra concedersi al gusto di una compiutezza modulata, tra Courbet ed Ingres. Non c'è da stupire che l'opera non venisse accettata al Salon del '67, se si osserva quella nuova cruda dolcezza che argina l'oro fané del nudo incerto e rorido tra l'erba e i sassi. 
In queste prime opere l'esperienza dei maestri passa in un contesto affettivo già così personale, tra passione di studio en bon ouvrieramore del naturale, che è difficile parlare di imitazioni precise, o di suture riconoscibili tra l'una e l'altra predilezione. 
Renoir, da bon gamin come era, non ha mai tatto mistero delle sue irregolari simpatie, per Corot, Courbet, Ingres e Delacroix; per Boucher, Fragonard, Watteau; ed anche Lancret e Goujon. A quella gran scuola del Louvre, con Fantin che copiava di tutto, ammirava i Tiziano e i
Veronese, Velàzquez e Rubens. Ma sono esperienze che matureranno col tempo. All'inizio cerca se stesso con una semplicità inedita, preso dalla meraviglia della verità, dotato di un occhio pronto per gli aspetti comuni, senza mito e storia. Tanto che riprende persone e cose che talvolta, poco ci manca, sono spinte ad una colorazione di qualità fotocromatica. E quello che sembra I'impressionista più dotato di senso comune - e forse mai libero dal sospetto di una calda sensibilità borghese - non ebbe più fortuna degli altri compagni di strada, in anni nei quali la pittura stava acquistando una nuova percezione visiva della realtà mondana, quasi rivedendo da capo la sintassi pittorica, fuori dalle regole, di fronte ad una società che le preferiva immutabili dentro tradizioni diventate sterili.
Anche per Renoir, come per gli amici, furono rare le critiche benevoli.








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