L' enciclica dei diritti
"Ogni essere umano ha diritto alla libertà di movimento e di dimora all'interno della comunità politica di cui è cittadino; ed ha pure il diritto, quando legittimi interessi lo consiglino, di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi con esse. Per il fatto di essere cittadini di una determinata comunità politica, nulla perde di contenuto la propria appartenenza, in qualità di membri, alla stessa famiglia umana; e quindi l'appartenenza, in qualità di cittadini, alla comunità mondiale".
E ancora: si esige che "i poteri pubblici portino il loro contributo nel promuovere lo sviluppo umano delle minoranze, con misure efficaci a favore della loro lingua, della loro cultura, del loro costume...".
E ancora: si esige che "i poteri pubblici portino il loro contributo nel promuovere lo sviluppo umano delle minoranze, con misure efficaci a favore della loro lingua, della loro cultura, del loro costume...".
Sembrano esortazioni scritte oggi, in vista delle tendenze xenofobe attuali. Risalgono invece al 1965 e sono contenute nella "Pacem in terris" di Giovanni XXIII, datata, significativamente, dal giovedì santo di quell'anno. Infatti, durante l'ultima cena, che si celebra appunto il giovedì precedente la Pasqua, Cristo fece il discorso più significativo sulla pace. E alla pace e alle condizioni necessarie per assicurarla e promuoverla, è dedicata quest'enciclica che serba ancora una grande attualità.
Ed è significativo che non vi si parli tanto di doveri da osservare quanto piuttosto di diritti da promuovere. Diritti e doveri sono evidentemente correlati e i doveri sono il corrispettivo speculare dei diritti che, senza quella controparte, metterebbero unghie e arroganza; così come i doveri, senza la controparte dei diritti, scadrebbero presto in umilismo molliccio e servile.
È tuttavia evidente il diverso taglio del discorso a seconda che si parta dai diritti o dai doveri. La pastorale della chiesa e i documenti del magistero son soliti partire dai doveri e ciò ha educato dei fedeli umili ed obbedienti, con spirito di generosità e di dedizione ma spesso senza fierezza e con la schiena ricurva. Questo tipo di approccio pastorale, ed anche il fatto di avere troppo spesso proiettato la pace e il benessere oltre i confini della terra sono in parte responsabili dello scarso impegno politico dei cattolici, almeno fino a qualche tempo addietro. Qui invece si parla della pace sulla terra (anzi le terre, al plurale: attestazione di un pluralismo di cultura chiaramente affermato).
A richiamare i fedeli all'impegno terrestre si riconosce che hanno contribuito i movimenti nati al di fuori della chiesa (e sovente contro la chiesa stessa) "nella misura in cui sono conformi ai dettami della retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana", ai quali si riconoscono "elementi positivi e meritevoli di approvazione".
A richiamare i fedeli all'impegno terrestre si riconosce che hanno contribuito i movimenti nati al di fuori della chiesa (e sovente contro la chiesa stessa) "nella misura in cui sono conformi ai dettami della retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana", ai quali si riconoscono "elementi positivi e meritevoli di approvazione".
Per cogliere la portata rivoluzionaria di tale affermazione giova ricordare che abbiamo alle spalle il pontificato di Pio XII e I'ossessiva lotta contro il comunismo al quale evidentemente il testo si riferisce. E prima c'era stata la distinzione tra l'errore e l'errante e il riconoscimento che le ideologie di partenza non sempre si travasano di peso negli impegni politici che pure ad esse seguitano ad ispirarsi e che possono svolgere opera di promozione umana meritevole.
Con questi movimenti (leggi: partiti politici) può venire il momento di collaborare. Il giudizio circa questo momento "spetta in primo luogo a coloro che vivono ed operano nei settori specifici della convivenza, in cui quei problemi si pongono". Vengono ricordate solo dopo (e si direbbe in secondo luogo) "le direttive dell'autorità ecclesiastica".
Ed anche qui il rovesciamento è clamoroso, tale da far scandalo allora e forse anche oggi, in cui certo i vari cardinali Ruini o Ratzinger non avrebbero mai fatto un discorso del genere. E neanche i papi l'hanno più fatto (forse qualche cosa del genere è stato detto da papa Giovanni Paolo II - che tuttavia non avrebbe sottoscritto i riconoscimenti ai partiti marxisti - prudente mente in America latina: in Italia no. Forse la curia non gliel'ha consentito).
Da quest'analisi storica, da questi onesti riconoscimenti è uscita questa enciclica dei diritti (e, naturalmente, non si sottacciono i doveri), in cui, quasi a far da contrappeso al passato, domina la fierezza, la determinazione, l'impegno temporale, senza tuttavia nessuno slittamento nell'orizzontalismo.
Si tratta, insomma, di un testo di grande peso storico, culturale, teologico che oggi va utilmente riproposto per confrontarlo coi problemi odierni e con l'odierna gestione della chiesa,per misurare i passi in avanti e i passi indietro.
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